La biodisponibilità: che cos’è?

Da bambino immaginavo le compresse come delle piccole navicelle spaziali che, una volta ingoiate, rilasciavano nel corpo tanti esserini capaci di curarmi.

Quello che non mi chiedevo mai era: quanti sono questi “esserini” che arrivano pienamente in forze all’organo del corpo che ha bisogno di aiuto?

Voglio dire, tra l’acidità gastrica, gli enzimi digestivi, il metabolismo del fegato, qualcosa andrà perso per forza!

La biodisponibilità è una misura della capacità del nostro organismo di utilizzare un farmaco o un integratore, per trarne gli effetti benefici (ma anche quelli negativi).

Qui di seguito ti presentiamo la biodisponibilità:

Jessica

La parola dell’esperto Jessica Dovicchi:

Tenere a bada il livello dei trigliceridi nel sangue è davvero importante per la salute del cuore. Ciò che mangi contribuisce a modificare il livello di grassi nel circolo ematico.

Alcuni alimenti, come burro, insaccati e cibi industriali, li aumentano. Mentre una dieta ricca di frutta, verdura, legumi, cereali integrali, pesce e carne bianca è utile a tenere a bada i livelli di trigliceridi nel sangue.

Dove non arriva la dieta possono venirci in aiuto gli integratori per abbassare i trigliceridi. Questi sfruttano le proprietà di alcuni principi attivi per riportare la trigliceridemia ai valori di normalità.

Non sono da considerarsi dei sostituti del pasto, ma occorre inserirli in un piano dietetico bilanciato e a basso contenuto di grassi.

Cosa si intende per biodisponibilità?

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Anche se il termine può sembrare altisonante, in realtà il concetto di biodisponibilità è piuttosto semplice da capire.

Quando introduciamo una sostanza nel nostro corpo – sia essa un farmaco, un alimento, un integratore – non lo ritroviamo nel sangue nella stessa quantità della fonte originaria, per vari motivi che vedremo tra poco.

La biodisponibilità è la percentuale di sostanza che raggiunge la circolazione sanguigna senza subire trasformazioni e reazioni chimiche.

La biodisponibilità varia in base alla via di somministrazione prescelta.

Se tieni conto la definizione, è facile capire che la somministrazione endovenosa ha sempre una biodisponibilità del 100% (abbiamo detto che è proprio la quantità di sostanza che si ritrova in circolo!).

La somministrazione orale invece, quella con cui assumiamo gran parte degli alimenti e nutrienti naturali, è tra le più suscettibili alle variazioni di biodisponibilità: l’alimento va digerito, assorbito, processato.

È chiaro quindi che solo una quota parte di nutriente entrerà in circolo così come lo abbiamo introdotto!

La definizione di biodisponibilità varia anche in base alla disciplina:

  • In farmacologia

In farmacologia, la biodisponibilità indica la percentuale della dose di farmaco (xenobiotico) somministrata che raggiunge immodificata la circolazione sistemica.

La definizione è quindi quella classica.

  • In scienze della nutrizione

Parlando di alimentazione, il concetto di biodisponibilità cambia leggermente.

Quali sono le differenze tra un farmaco e un alimento, in termini di biodisponibilità?

  • Nel farmaco la dose di principio attivo è nota, nell’alimento no
    • Un medicinale inserisce una sostanza estranea, che prima dell’uso del farmaco non era presente nell’organismo. Il cibi invece introducono nutrienti che abbiamo già nel corpo in varie proporzioni.
    • Nei farmaci possiamo aggiustare la formulazione, nei cibi non è possibile

Insomma, nel caso della nutrizione ci troviamo di fronte a un problema complesso: la biodisponibilità è difficilmente misurabile.

Proviamo con un esempio pratico.

Se mangio un carciofo (uno tra gli alimenti ricchi di acido folico) non so quanto acido folico questo carciofo contenga.

Vado poi a misurare il livello di acido folico nel sangue dopo l’assunzione: posso trovarlo molto più alto del previsto.

Questo perché in condizioni basali abbiamo già acido folico in circolo, frutto dei pasti precedenti con cibi ricchi di acido folico, ma anche di una riserva interna corporea.

Questo discorso riguarda tutti i nutrienti, come calcio, fosforo e magnesio e vitamine.

Quindi in ambito nutrizionale, la biodisponibilità diventa la percentuale di sostanza somministrata in grado di essere assorbita e disponibile per l’uso o l’immagazzinamento.

  • In scienze ambientali

La biodisponibilità è un concetto molto utilizzato anche nelle scienze ambientali.

Viene usata come unità di misura della capacità di alcune sostanze ambientali di entrare negli organismi viventi.

Per fare un esempio, in agricoltura può insorgere una carenza di fosforo vegetale, indotta dal fatto che questo minerale precipita come fosfati di ferro o alluminio, indisponibili per l’assorbimento.

Allo stesso modo gli inquinanti organici come solventi e pesticidi, molto impiegati nell’agricoltura intensiva, devono avere una bassa biodisponibilità. Questo assicura che non vengano assorbiti da microrganismi e vegetali.

ATTENZIONE

La biodisponibilità dipende sia dalla sostanza che dal soggetto che l’assume, nonché dalle condizioni fisico-chimiche in cui prendiamo il farmaco. Esempio classico è l’assunzione “coi pasti”, che può sembrare un vezzo ma che in realtà influenza pesantemente la biodisponibilità!


La biodisponibilità assoluta

La biodisponibilità assoluta è riferita alla somministrazione di farmaci per via non-endovenosa.

In sostanza, è la comparazione della biodisponibilità dello stesso farmaco nella via non-endovenosa rispetto a quella nella via endovenosa (che è sempre il 100%).

Per determinare il valore della biodisponibilità assoluta di un farmaco si ricorre generalmente a calcoli complessi, volti a calcolare la AUC (Area Under Curve), cioè l’area sotto la curva del grafico di biodisponibilità.

Il calcolo va poi corretto per la dose somministrata.

Calcolare la biodisponibilità assoluta non è una pratica così utilizzata in farmacologia, a meno che non venga espressamente richiesto dalle agenzie regolatorie.


La biodisponibilità relativa e la bioequivalenza

Se la somministrazione standard di un farmaco è quella orale, rettale, parenterale o qualsiasi altra via non endovenosa, si ricorre alla biodisponibilità relativa.

Si tratta appunto della misurazione della biodisponibilità classica (ricavata dalla AUC) confrontata con la biodisponibilità ottenuta con una formulazione differente dello stesso farmaco.

In questo modo si valuta quanto la nuova formulazione sia più o meno biodisponibile rispetto alla formulazione originale.

La biodisponibilità relativa è anche impiegata per determinare la bioequivalenza tra farmaci

Mai sentito parlare del “farmaco generico”?

Si tratta di un farmaco che contiene lo stesso principio attivo del composto di origine, però può avere qualche piccola differenza negli eccipienti e, quindi, nella biodisponibilità.

Per essere immesso nel mercato, i due farmaci devono essere bioequivalenti, cioè avere caratteristiche di assorbimento e metabolismo concordanti per oltre 80%.


Quali fattori influenzano la biodisponibilità?

I fattori che influenzano la biodisponibilità sono UNA MIRIADE.

Qualsiasi via di somministrazione diversa da quella endovenosa, dà un valore di biodisponibilità inferiore a 1. Biodisponibilità 1 significa che TUTTA la sostanza introdotta si ritrova immodificata nel sangue.

Una delle fasi che più influenza la biodisponibilità è l’assorbimento.

Quando introduciamo cibi o pillole, questi vengono dapprima digeriti, “sminuzzati” dagli acidi gastrici in molecole più semplici (idrolisi da acidità). Queste molecole devono poi essere assorbite dalle cellule intestinali.

Beh, finito qua. Che c’è di difficile?

Di difficile c’è che l’entità e l’efficienza dell’assorbimento dipendono da tantissime cose:

  • La motilità intestinale e la qualità della flora batterica intestinale influenzano la degradazione chimica del farmaco o del nutriente
  • Interventi chirurgici sul tratto gastrointestinale riducono l’assorbimento
  • Le proprietà fisiche della sostanza (idrosolubile, liposolubile, acida, basica)
  • Flusso sanguigno all’intestino
  • L’assunzione col cibo può migliorare o ridurre la biodisponibilità
  • Tipo di trasportatori che si occupano dell’assorbimento di un farmaco (esistono sostanze che vengono “spinte fuori” dalle cellule intestinali tramite alcuni meccanismi di efflusso)
  • Stato di salute del tratto gastrointestinale

Tutto ciò che introduciamo attraverso il sistema gastrointestinale deve passare per il fegato. Non si scappa.

È una specie di filtro, che metabolizza – trasforma – le sostanze che passano al suo interno, aiutandone l’utilizzazione o l’eliminazione del farmaco.

Il metabolismo del farmaco/sostanza nutritiva fa variare di molto la biodisponibilità:

  • Effetto di primo passaggio epatico. Al primo passaggio al fegato della sostanza, la sua quantità viene abbattuta. Nel sangue se ne ritroverà una percentuale molto meno consistente.
  • Variazioni individuali degli enzimi per il metabolismo dei farmaci
  • Interazioni con farmaci e cibi: altre sostanze possono inibire o stimolare gli stessi sistemi enzimatici che metabolizzano il farmaco che abbiamo assunto, riducendo o aumentando la sua concentrazione plasmatica

LO SAPEVI CHE

Il succo di pompelmo può inibire il CYP3A4, un enzima che metabolizza ed elimina diversi farmaci, tra cui le statine, i farmaci per la pressione e i corticosteroidi. Assumere succo di pompelmo può ridurre il metabolismo di tali farmaci e farli permanere più a lungo in circolo (+ effetti collaterali)


Biodisponibilità dei farmaci e degli integratori alimentari

Biodisponibilita-dei-farmaci-e-degli-integratori-alimentari

Alla luce di quanto abbiamo appena visto, si capisce facilmente che comprendere la biodisponibilità di sostanze contenute in un prodotto alimentare può essere assai complesso.

Con gli integratori alimentari è un pochino più semplice, in quanto la dose di nutriente è conosciuta in partenza.

Tuttavia, la misurazione dell’assorbimento dei nutrienti non è precisa.

Gli integratori sono consumati per il benessere, a volte per prevenzione. Non hanno effetti specifici dipendenti dalla dose. Non c’è un valore soglia di biodisponibilità sopra il quale l’integratore inizia a funzionare.

Non c’è quasi mai neanche il valore soglia sopra il quale iniziano a manifestarsi gli effetti collaterali.

Oltre queste oggettive difficoltà, bisogna specificare anche che mancano ad oggi delle metodiche che regolino il consumo di integratori alimentari e questo rende molto difficile compiere degli studi accurati in merito.

Diventa così molto complesso studiare e comprendere le variazioni individuali della biodisponibilità di un integratore alimentare.

In alcuni casi, uno smodato uso di integratori può portare anche a conseguenze spiacevoli. Un eccesso di ferro può causare, ad esempio, nausea, mal di stomaco e costipazione.


Scienze nutrizionali: biodisponibilità affidabile e universale

Per trovare una soluzione a questi problemi, gli studiosi hanno definito la cosiddetta biodisponibilità affidabile.

Tiene conto dei risultati positivi che includono l’84% dei soggetti in studio.

La biodisponibilità universale, invece, si basa su risultati concordanti con il 98% dei soggetti in studio.

Sono indicatori molto utili nella comunicazione tra le aziende produttrici e i pazienti, fornendo una misura verosimile della reale biodisponibilità dell’integratore, tenendo conto delle dimensioni ristrette dello studio e di eventuali variazioni individuali che non sono emerse.

RICORDA

Più sostanza non vuol dire maggiore effetto. Ad esempio, se delle compresse di acido folico hanno tantissimo principio attivo ma questo risulta scarsamente assorbibile, la sua utilità sarà molto scarsa.


Come calcolare la biodisponibilità?

Per prima cosa si misura come varia la concentrazione dei farmaci nel sangue, in funzione del tempo. Si disegna un grafico concentrazione-tempo. La biodisponibilità corrisponde all’area sotto la curva (AUC).

Quanto tempo ci mette una compressa a sciogliersi nello stomaco?

Dipende molto dal tipo di compressa che abbiamo assunto. In media, circa un’ora e mezza.

Quanto tempo far passare da un farmaco a un altro?

Ogni farmaco fa storia a sé. Esistono farmaci che vanno assunti a cadenza di 8h (alcuni antibiotici riguardanti la penicillina), altri di cui non si dovrebbe ripetere l’assunzione prima di 3-4h (paracetamolo). Bisogna valutare caso per caso.


Fonti:

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